Viti resistenti in campo
L’impiego di ibridi di vite che mostrano resistenza a oidio e peronospora può migliorare la sostenibilità economica e ambientale in un mondo che ha sempre più bisogno di tutela e garanzie da parte dell’uomo.
Siamo solo agli albori di questo percorso e e le credenziali degli ibridi di vite devono ancora essere confermate dal loro impiego su larga scala.
A tal proposito ricordo un viaggio effettuato circa 6 anni fa a Friburgo dove la ricerca nell’ottenere ibridi per la produzione di vini rossi era molti intensa.
Il settore vitivinicolo mondiale è in realtà già stato interessato dalla coltivazione degli ibridi. Si stima che nel secondo dopoguerra potessero rappresentare quote vicine al 50% dell’intera superficie vitata mondiale.
Un pò di storia sugli ibridi
Inizialmente si trattava di ibridi direttamnete ottenuti da incrocio spontaneo tra viti americane per combattere soprattutto la fillossera dotati in genere di una certa tolleranza alla peronospora.
Questa prima generazione oltre a manifestare poca resistenza alla fillossera aveva tra i parentali la Vitis Lambrusca. Questa era portatrice di molecole marcanti come il metilantralinato e il 2-aminoacewtofenone, base chimica del sentore foxy o volpino, e il fureaneolo, responsabile del simil-fragola oltre alla presenza di alcol metilico.
Seguì una seconda generazione di ibridi che escluse la V.Lambrusca tanto che intorno al 1960 la Francia ne aveva circa 400.000 ha di impiantati.
I modesti livelli qualitativi dei vini ottenuti spinsero a favore della coltivazione della sola Vitis vinifera innestata su portinnesto americano.
Siamo arrivati alla terza generazione dove abbiamo ricercato resistenza alla peronospora e oidio, senza però tralasciare gli aspetti qualitativi del vino.
La Vitis vinifera è stata incrociata con viti americane e viti asiatiche in modo da ottenere un corredo genetico resistente a queste malattie.
Le nazioni pioniere in questo campo sono state la Germania come accennato prima e la Svizzera.
Un limitato numero di trattamenti fungicidi offrirebbe la grande possibilità di ridurre l’impatto ambientale. Per molti viticoltori rimane però il dubbio che tale resistenza possa essere superata dai patogeni come già accaduto in qualche caso. Il consiglio rimane quindi di effettuare comunque un numero ridotto di interventi in campo in aiuto alla pianta.